Ho accettato senza riserve l’invito per la proiezione in anteprima di “Interstellar”, il nuovo potenziale capolavoro di Chris Nolan. Fagocito fantascienza dal 1976, anno di uscita di “Spazio 1999” in Italia e i miei primi ricordi di cinema riportano a Star Wars, che ho visto con la meraviglia di una bambina. L’ultimo film di fantascienza che ho visto, invece, è stato Gravity, del quale piango ancora lacrime di delusione. Elysium non lo considero nemmeno, ma per un breve attimo mi ha fatto dubitare della mia incrollabile fede nella fantascienza.
Per Interstellar diventa abbastanza complesso fare una recensione credibile senza anticipare parte dei contenuti fondamentali del film. Lo stile di Nolan e la forte caratterizzazione che imprime nei suoi film sono ormai proverbiali e questo non è certo da meno. Il tormento interiore dei personaggi è ben sviluppato e sono riproposti i temi dell’inganno e dell’ossessione. La percezione del confine tra realtà e illusione viene, però, drammaticamente oltrepassato nell’ultima parte del film, quando gli eventi scivolano inevitabilmente sul versante visionario che può essere posto fra i limiti della fisica teorica e della cinematografia creativa.
La scelta del regista di filmare tutto su pellicola imprime alla fotografia un taglio decisamente particolare, quasi “antico”, che ha fortemente aiutato le riprese della prima parte del film, quelle ambientate sul pianeta Terra morente. Gran parte delle scene sono state riprese con una fotocamera IMAX su idea del geniale Hoyte van Hoytema (chi non ricorda “Lasciami entrare”?).
La storia inizia con il sogno dell’evento tragico che ha originato l’inquietudine del protagonista, l’ex astronauta e ingegnere aerospaziale Cooper, magistralmente interpretato dall’attore Matthew McConaughey. Cooper trascina la sua esistenza in una fattoria, insieme al suocero Donald (il cui volto è prestato da colui che ha dato vita al “miglior cattivo” di sempre della serie TV “Dexter”, l’attore John Lithgow) e ai due figli Tom e Murphy, “Murph” che rappresentano l’ultima generazione di esseri umani nata sulla Terra, inconsapevoli di essere destinati alla fine della specie.
I giovanissimi Timothée Chalamet e Mackenzie Foy (che ha interpretato Renesmee Cullen nelle parti finali della saga di Twilight, “Breaking Dawn”) sono perfettamente in parte. Il giovane Tom, adolescente, ha acquisito dal nonno le attitudini pratiche che lo porteranno ad ereditare la fattoria di famiglia in un mondo dove la scienza non viene più insegnata a scuola per far posto alla fondamentale conoscenza delle pratiche di agricoltura.
La piccola Murph invece custodisce nell’anima il fuoco sacro della scienza ed è per questo che il rapporto con il padre è così profondo. Lui le insegna i fondamenti del metodo scientifico da applicare ad alcuni fenomeni che la bambina percepisce nella sua stanza e per i quali attribuisce la causa alla presenza di un “fantasma”.
A questi personaggi principali fa da sfondo la prima ambientazione del film che, come Nolan ci ha abituati, è perfettamente calzante e meticolosamente trasposta. Il pianeta Terra è sull’orlo della rovina ecologica. L’unica coltura che resiste e a un fungo microscopico e alle ormai mortali condizioni ambientali è il mais. L’uomo ha portato oltre i limiti lo sfruttamento del territorio innescando un processo inarrestabile di decadimento e danni ecologici a catena che inevitabilmente causeranno la fine della razza umana. Non vi è presenza di altri animali.
La citazione alla presenza costante della polvere – che ricopre tutto quanto e che gli esseri umani sono obbligati a respirare – è riferita alle tempeste di sabbia occorse negli Stati Uniti negli anni ’30, il famigerato “Dust Bowl”. Nolan ha inserito nel film vere e proprie cronache storiche dell’epoca, trasponendole nell’immaginario futuro prossimo che ospita gli eventi del film, ricreando alla perfezione la precisa ambientazione anche dal punto di vista emotivo. I racconti degli anziani che intervallano le scene iniziali, infatti, sono tratte da testimonianze oculari dei sopravvissuti a quella catastrofe.
In questa realtà di esistenza che si svolge per inerzia, una gigantesca tempesta di sabbia spinge la famiglia di Cooper a rifugiarsi nella propria casa, dove Murph insieme al padre sono testimoni di “un’anomalia gravitazionale”, una specie di “messaggio” in codice, che la piccola protagonista attribuisce al suo “fantasma”, e che spostano l’intera storia dalla fattoria polverosa a una base di controllo della NASA, dove lavora in segreto un’equipe di scienziati impegnati alla ricerca di nuovi mondi da abitare.
Qui comincia la trasformazione che riporta il Cooper “guardiano” della terra al Cooper “esploratore” di nuovi mondi, spingendolo alla ricerca di una salvezza per il genere umano, ma soprattutto per i propri figli. Ancora di salvezza che si rivela essere la scienza, ed è proprio la scienza la struttura portante di questa parte del film.
La collaborazione stretta con una delle più geniali menti del nostro tempo, Kip Thorne, è stata fondamentale per caratterizzare la sceneggiatura con i fondamenti scientifici che rendono il film credibile ed emozionante come solo la fisica e l’astrofisica possono fare, ma anche visionario e creativo dal punto di vista teorico della fisica stessa. L’uomo è attratto da sempre dai misteri del cosmo ed è proprio nella sua profondità che la generazione di Cooper trova una via d’uscita per rigenerare la razza umana.
Interstellar lega a doppio filo la teoria della relatività, filo conduttore del film da questo punto in poi, alle teorie di Thorne sui “wormhole” (cunicoli spazio-temporali) e sui “buchi neri”, di cui si teorizza il comportamento solo in base agli effetti gravitazionali misurabili intorno agli stessi.
Cooper prende coscienza di una scelta obbligata quando incontra dentro la base di controllo un suo vecchio collega, il Prof. Brand, che lo investe di un incarico unico ed irripetibile: viaggiare attraverso un cunicolo spazio-temporale e raggiungere 3 scienziati partiti anni prima per un viaggio esplorativo simile.
La missione che sarà formata da Cooper, Romilly, Doyle e dalla figlia del Prof. Brand deve verificare le reali condizioni di ambienti potenzialmente abitabili viaggiando attraverso lo spazio-tempo sfidando le leggi della fisica. La precisione meticolosa di Nolan nella riproduzione del viaggio interstellare ci regala – finalmente – una credibilità scientifica consistente, come ad asempio l’assenza di suoni nello spazio.
Negli interni il regista riproduce realisticamente ogni cosa, dalle tute degli astronauti alle console di pilotaggio, utilizzando anche un preciso studio delle luci, della fotografia e degli effetti visivi che sono in accordo con la scenografia in modo da farla risultare nel modo più realistico possibile.
Il viaggio dei cosmonauti è affiancato da un robot, TARS, programmato per aiutare e sostenere sia moralmente che tecnicamente l’equipaggio con un’ironia tagliente e realistica e una personalità strutturata. Più di una semplice macchina, TARS diventerà un collaboratore essenziale fino alla fine del suo percorso e a differenza della spietata AMEE di “Red Planet”, TARS rimane fedele e consistente.
Il riferimento ad HAL9000 non può essere casuale e nello svolgimento del film il legame che si crea fra Cooper e TARS richiama in qualche modo la dipendenza fra il giovane Skywalker e il suo celebre droide, R2-D2. Da questo punto in poi non è possibile raccontare altro senza anticipare contenuti fondamentali della sceneggiatura, ma voglio fornirvi alcune chiavi per la lettura “scientifica” del film.
Il tempo è una dimensione che insieme a lunghezza, larghezza e profondità costituisce la struttura quadrimensionale dell’Universo, lo spazio-tempo. Il “wormhole” è una caratteristica ipotetica dello spazio-tempo che in linea teorica consentirebbe di viaggiare fra punti diversi dell’Universo, come se usassimo una scorciatoia.
Il buco nero è una regione dello spazio-tempo con un campo gravitazionale talmente forte che nemmeno la luce può sfuggire dal suo interno. Il comportamento gravitazionale dei buchi neri si osserva attraverso il comportamento della massa che ruota intorno al buco nero stesso. L’orizzonte degli eventi (maldestramente tradotto in “orizzonte” nella versione italiana) è il limite prima del quale nessun evento interno al buco nero può influenzare un osservatore esterno.
La relatività è un principio fisico complesso, inquietante e affascinante al tempo stesso. Durante le scene relative al viaggio interstellare, l’apporto scientifico di Kip Thorne consente a Nolan di realizzare ciò che è più vicino all’immagine di un wormhole e di un buco nero.
I modelli matematici esistenti hanno permesso all’equipe di Double Negative di creare un wormhole “teoricamente” perfetto, attraverso il quale è possibile vedere sia fisicamente che idealmente la “via d’uscita”. Il wormhole di “Interstellar” è di fatto l’orizzonte degli eventi per lo spettatore, dove la scienza lascia posto alla fantascienza più pura.
Gargantua, il buco nero supermassiccio che l’equipaggio di Cooper trova alla fine del wormhole, è un tributo a Stephen Hawking. La singolarità di questa stella degenere è un punto di massa infinita che attira tutto ciò che gravita intorno a sé incanalandolo in una traiettoria a spirale che delinea l’orizzonte degli eventi.
Ed è ad Hawking, ancora, che Thorne e Nolan tributano il proseguimento del film con una parte di “informazioni” che riescono a sfuggire dal campo gravitazionale del buco nero per consentire il passaggio alla terza parte del film, dove il viaggio interstellare abbandona drasticamente le leggi della fisica e le ipotesi della fisica teorica per abbandonarsi totalmente alla parte più spirituale ed intimistica del regista.
Viene ripreso il tema, caro a Nolan, dei salti temporali qua riproposti e proiettati in un’ottica più ampia, quella dello spazio-tempo scandito dai battiti accelerati dall’ansia del protagonista che solo alla fine del suo viaggio ne comprende lo scopo reale.
Il “regalo”, che forse il regista ci consegna a questo punto è il ragionamento che proseguirà nelle ore successive alla visione del film per capire cosa esattamente sia successo. Così come è successo dopo “Memento” e “Inception”.
Ma “Interstellar” non è solo un viaggio nel cosmo e nello spazio-tempo. Nolan, ancora una volta, ha voluto offrirci lo spunto per un viaggio interiore che ci fornisca la chiave di volta per la ricerca di noi stessi, delle nostre paure, delle nostre speranze e del vero motore dell’esistenza umana.
Più intimo di Luc Besson nel “Quinto elemento”, Nolan ci getta in un buco nero e ci spinge oltre le leggi della fisica, ma ci ricorda per bocca di Amelia Brand che “L’amore è l’unica cosa che trascende dal tempo e dallo spazio”.
Voglio augurarvi di osservare ogni scena del viaggio interstellare con la stessa emozione che ho provato nel trovarmi letteralmente proiettata nello spazio, un luogo inaccessibile alla stragrande maggioranza degli esseri umani e vorrei poter ringraziare personalmente Nolan per avermene dato un assaggio.
Jams
11 Febbraio 2020in generale, il film si è rivelato ambiguo … c’è qualcosa a cui pensare
Selene
11 Febbraio 2020Ad esempio?