Liberate la bestia e sfogatevi nelle strade.
Nel non troppo lontano 2022 gli Stati Uniti d’America, grazie al “supremo” intervento di misteriosi e riveriti Nuovi Padri Fondatori, appaiono come un soleggiato e rigoglioso giardino dell’Eden in cui sofferenza, criminalità e disoccupazione sono solo l’eco di un brutto ricordo. Grazie allo Sfogo, quell’unica notte dell’anno in cui la legge consente a tutti di sfogare liberamente gli istinti più bassi, di generare violenza assoluta e (in)giustificabile per dodici ore e tornare a vivere serenamente un altro pacifico anno. Chi non è in vena di bagni di sangue può rimanere comodamente in casa, azionare sofisticati sistemi d sicurezza e guardare un film. Proprio come vorrebbero fare i Sandin (Ethan Hawke e Lena Headey), blindati nella loro lussuosa e (im)penetrabile dimora californiana, il cui equilibrio finisce per essere infranto da due inattesi ospiti: il bad boy si cui è innamorata la figlia adolescente (Adelaide Kane) e l’uomo braccato da criminali festanti a cui concede rifugio il secondogenito dal cuore tenero (Max Burkholder). E il cruento inseguimento al gatto e al topo è servito.
Ispiratosi a La lotteria, racconto del 1948 di Shirley Jackson, il regista e sceneggiatore James DeMonaco tenta di confezionare un horror futurista che aspira alla satira sociale, guardando ad Arancia Meccanica e Funny Games e cucendo temi quantomai caldi e dibattuti in una melodia in crescendo. Eppure, per quanto visualmente attraente, La notte del giudizio rimane un B-movie incapace di illustrare provocatoriamente “nuove” teorie sociologiche, di rappresentare punti di vista alternativi e le sfumature esistenti tra male assoluto e solidarietà buonista, preferendo inanellare una serie di cliché, di incarnazioni della violenza trite e ritrite e prese a prestito da ben altre immaginazioni. Accostando al concetto piuttosto elementare del “lato oscuro” presente in ogni essere umano, l’homo homini lupus di hobbesiana memoria, l’ambiguo e presuntuoso perbenismo Wasp, la fin troppo ovvia “caccia al nero”, la dinamica estetica di un culto à la Family di Charles Manson, il classico dramma della gelosia nelle sue altre declinazioni. In un’occasione mancata che ha il pregio, quantomeno, di non tormentare lo spettatore oltre il tempo necessario.