Due sorelle, Justine e Claire, (interpretate da Charlotte Gainsbourg e Kirsten Dunst) e un tempo unite, si stanno allontanando sempre di più l’una dall’altra. Poco dopo la cerimonia in cui Justine ha sposato Michael (Alexander Skarsgård), la donna piomba in un improvviso stato di malinconia che la rende particolarmente calma mentre un misterioso pianeta, apparso da dietro il sole, è in rotta di collisione con la Terra. Claire, invece, è terrorizzata per la minaccia che incombe dallo spazio.
Il destino è cinico e baro, l’uomo è nulla nei confronti dell’immensità dell’universo e della sua imprevedibilità. Tutti dobbiamo morire. Quindi perché preoccuparsi di vivere le cose piacevoli e belle della vita quando si può stare comodamente addormentati in vasca da bagno finché il nostro pianeta non entrerà in rotta di collisione con un altro corpo celeste?
Questo, ridotto ai minimi termini, il messaggio del film Melancholia del maestro danese Lars von Trier. Dopo il semi-flop (o flop totale) di Antichrist torna a parlare al grande pubblico con un film tanto lungo quanto pretestuoso. A chi scrive non ha fatto impazzire, direi che si è capito, ma una cosa bisogna ammetterla: questo è un film onesto. Fin dal primo minuto capirete che si tratta di un enorme opera volutamente lenta e volutamente senza speranza. Il film si può dividere idealmente in tre parti: la prima, contraddistinta dalla colonna sonora di Richard Wagner e da una serie di immagini che da un lato lasciano lo spettatore tra lo spiazzato e l’allarmato e dall’altro raccontano senza un neanche un dialogo la trama del film.
La seconda, dove entriamo in rotta di collisione con i personaggi, due sorelle pazze, una famiglia svitata, un pubblicitario cinico e un marito innamorato e ferito; con toni grotteschi viene descritto un matrimonio che parte male e finisce peggio, e viene delineato il tema portante del film, ovvero come la depressione sia una cosa dannatamente seria, come chi ne soffre (in questo caso la bravissima e bellissima Kirsten Dunst) non sia in grado di godersi niente che non sia il suo stesso malessere e come chi tenti di aiutare queste persone finisce per avere una vita altrettanto disperata e commiserevole.
La terza parte è la parte in cui a questa depressione viene dato un nome e una giustificazione. Melancholia è infatti sia lo stato d’animo della protagonista che contagia tutti gli altri attori, che un pianeta pronto secondo a distruggere la terra (come si scopre dopo appena 6 minuti di film).
Il film (non) scorre lento, con un ritmo che non decolla e con un’ansia propria di chi sa che non c’è alcuno scampo. Se da un lato il regista poteva gestirsi meglio il climax inserendolo alla fine invece che all’inizio, dall’altro non ha alcuna intenzione di rendere il ritmo un po’ più godibile per lo spettatore finale. Lars von Trier aveva due storie in mente e ha pensato bene di raccontarle in una sola. Benissimo. Ma dov’è il senso del film? Perché allungarlo in due ore quando poteva, e probabilmente doveva, essere raccontato in una e un quarto?
Nel complesso buone le prove di tutti gli attori con qualche picco, premiato tra l’altro con la Palma d’oro al Festival di Cannes come miglior attrice. Bella la fotografia, ma il montaggio e la scelta di far vedere all’inizio e alla fine del film la stessa scena in modo sempre più didascalico sono secondo me totalmente discutibili.